Magistratura e politica

In un periodo particolarmente triste per  la costituzionale prescrizione di imparzialità della magistratura, abbiamo  potuto ammirare  magistrati fondatori di movimenti politici e magistrati militanti di partiti politici  che per conto di questi ultimi ricoprono incarichi nella pubblica amministrazione,  il tutto senza aver  mai lasciato definitivamente il loro ufficio.

La cosa che turba particolarmente  è la disinvoltura con cui si indossa e si ripone la toga, a seconda delle stagioni e dei risultati politici.

Il cittadino che vede amministrare la giustizia da detti magistrati, giustamente, non potrà mai considerarli imparziali ritenendo sempre e comunque di trovarsi innanzi ad un organo di parte, infatti la partecipazione alla vita politica fa venir meno l’indipendenza e l’imparzialità del magistrato e quindi la fiducia nel sistema giudiziario.

Anche il Consiglio d’Europa in un suo rapporto sull’ Italia ha sottolineato, in riferimento alla magistratura, il grave problema delle porte girevoli tra tribunali ed incarichi politici, che portano a un  “inevitabile rischio di politicizzazione della magistratura”.

Serve, quindi, una delimitazione  più rigorosa tra le funzioni giurisdizionali e la partecipazione dei magistrati nell’attività politica e governativa, cosi che la magistratura torni a fare solo la magistratura.

Deve essere stabilita un incompatibilità assoluta tra la funzione di magistrato e qualsiasi altro incarico o funzione e con l’iscrizione  a movimenti e partiti politici. Il magistrato che decide di fare politica deve dimettersi.

Questo al fine di evitare in futuro di dover sentir parlare di “processi ad orologeria” “toghe rosse” o “toghe nere” e di altre strumentalizzazioni di una figura irrinunciabile.

La separazione dei poteri è uno dei principi fondamentali dello stato di diritto e questo non deve mai essere dimenticato, al fine di evitare che l’attuale stato di confusione facci rigirar nella tomba  anche Montesquieu.

Giuseppe Rizzo

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