Il 25 aprile non può più essere il giorno in cui si festeggia la liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista, impresa che la storiografia encomiastica della Resistenza attribuisce alla guerriglia partigiana. Non c’è nulla di più falso. Il fascismo si è disgregato per implosione a causa della scelta nefasta dell’entrata in guerra al fianco della Germania e non certo, come si è voluto far credere a lungo, per l’azione del movimento partigiano.
Furono gli alleati a cacciare l’esercito di Hitler dalla penisola, i partigiani diedero un apporto minimo, confuso, irrilevante ai fini della conclusione del conflitto.
L’insurrezione del 25 aprile, in memoria della quale è stata istituita la Festa della Liberazione, venne ordinata dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e fu una risposta più che altro simbolica, priva di rischi e di effetti sul piano militare.
Il paradosso della Festa della Liberazione è che è diventata ,successivamente ,il simbolo di quella cultura di sinistra che non ha mai smesso di immaginare un’Italia diversa dall’attuale , plasmata sul modello della Russia comunista.
Un regime che ha superato di gran lunga il fascismo nella repressione delle libertà uguagliando, nei crimini e negli stermini di massa, la Germania nazista.
Il primo maggio è oramai una manifestazione folkloristica, simbolo della solita sinistra, diventata una fiera di inutili parole , durante la quale segretari nazionali delle organizzazioni sindacali continuano ad elencare il diritto a questa o a quell’altra cosa senza mai parlare di doveri, ma tutti questi signori non comunicano all’opinione pubblica la questione più importante: come fare a generare lavoro, non necessariamente dipendente, anche autonomo.
Dovrebbero spiegare che per generare lavoro bisogna generare ricchezza (non finanziaria), frutto di attività economiche private attraverso la produzione di beni e servizi. Il settore pubblico non genera ricchezza, anche perché non è suo compito, ma dovrebbe agevolare il lavoro delle suddette attività .
Oggi, in Italia, accade il contrario. Le pubbliche amministrazioni frenano continuamente le iniziative economiche, perché gestite da una classe dirigente irresponsabile e in parte corrotta, che agisce in base alla cultura del favore e non a quella del servizio, infischiandosene altamente dell’interesse dei cittadini che pagano loro lo stipendio.
Il lavoro, come la libertà, non va festeggiato, non servono vuote parole, emesse , per dare fiato alla bocca, da tanti politicanti e sindacalisti che hanno a cuore sé stessi piuttosto che i cittadini ma realizzato nei fatti.
Giuseppe Rizzo